NOVE ANNI DOPO RINNOVO DEL CCNL: QUALCHE SPICCIOLO E ACCETTAZIONE DELLA BUONA SCUOLA

NOVE ANNI DOPO RINNOVO DEL CCNL: QUALCHE SPICCIOLO E ACCETTAZIONE DELLA BUONA SCUOLA

Tratto da: Giornale dei comitati di base della scuola N 4 MAGGIO/GIUGNO 2018

Il recente CCNL della scuola (annegato in una marmellata comprensiva anche dei dipendenti di università e ricerca) si è materializzato dopo oltre nove anni per la parte economica e 12 per la parte normativa. Quasi tutti d’accordo i sindacati acquiescenti (non ha sottoscritto solo lo SNALS), anche se la Gilda per firmare ha dovuto pensarci qualche settimana. Si tratta con tutta evidenza di un contratto “elettorale”, che sarebbe dovuto servire al governo a guida PD a contenere la batosta elettorale (ma così non è stato) ed ai sindacati di palazzo per salvare la faccia in vista del rinnovo delle RSU (e anche in questo caso si è sbagliato qualche calcolo). La vicinanza di queste scadenze elettorali ha indotto a sottoscrivere un contratto che rinvia le decisioni sulla parte normativa e si concentra essenzialmente su quella economica. 

LA PARTE ECONOMICA.  L’ignobile “mancetta” su cui lor signori si sono accordati dimostra l’assoluto disprezzo che governo e sindacati di comodo nutrono per docenti ed ATA, ritenuti così sottomessi al punto di dover ringraziare persino per un “aumento” medio netto mensile di 45 euro per gli ATA e di 50 per i docenti. Tutto ciò a fronte di un decennio di vuoto contrattuale in cui i lavoratori hanno perso almeno il 20% del potere di acquisto del salario (vale a dire alcune decine di migliaia di euro!) e di carichi di lavoro e responsabilità spinti a livelli di intensificazione insopportabili. La natura di “mancetta” è così evidente che per finanziarla si dovrà attingere anche dal bonus meritocratico. Gli aumenti contrattuali sono il frutto di una complessa operazione contabile che prevede aumenti lordi mensili oscillanti tra 84 e 111 euro, assicurati solo da marzo a dicembre 2018 grazie ad un meccanismo di tipo perequativo. L’ARAN ha calcolato gli aumenti contrattuali considerando una percentuale pari al 3,84% in maniera indistinta, senza cioè tenere conto della distribuzione tra il personale delle qualifiche e dell’anzianità di servizio cui corrispondono stipendi differenti. Per questo è stato pensato il meccanismo del pagamento con un elemento perequativo, dando in busta paga una voce aggiuntiva per garantire la differenza tra posizione economica di riferimento e raggiungere gli 85 euro lordi promessi. Ad un docente di scuola dell’infanzia con 0-8 anni di anzianità di servizio, ad esempio, saranno corrisposti in busta paga 19 euro come “elemento perequativo”. Per garantire gli 85 euro lordi il governo è arrivato a modificare le soglie del bonus dei famigerati 80 euro, per evitare la paradossale conseguenza dell’aumento in busta paga e la contemporanea riduzione del bonus. Se si considera il rapporto tra prezzi ed inflazione (i prezzi al consumo in Italia sono cresciuti dell’11,45% dal 2009), un aumento nominale medio di 85 euro conferma che, in termini reali, gli stipendi di docenti ed ATA restano più bassi di quelli del 2009. Di fatto, si tratta di una truffa semantica orchestrata da governo e sindacati scendiletto, che per chiudere presto la partita hanno trovato i soldi togliendoli proprio agli stessi lavoratori, visto che i cosiddetti “aumenti”, anziché decorrere dal 1° gennaio 2018, partono solo da marzo 2018. Tale operazione, ribadiamo, sarà attuata soltanto fino a dicembre 2018, come si evince all’articolo 37 e tabella D1. In concreto, se il futuro governo non dovesse trovare fondi aggiuntivi per garantire la perequazione, dal gennaio 2019 gli stipendi corrisposti a docenti ed ATA con minor anzianità di servizio torneranno a diminuire. A maggio scorso sono stati corrisposti gli arretrati gennaio 2016-maggio 2018: circa 450 euro medi netti. Nulla è stato pagato per gli anni precedenti.

BONUS MERITO.  Con questo contratto si finisce dalla padella alla brace, visto che si stabilisce che ai presunti “migliori” dovrà andare un premio superiore almeno del 30% a quello degli altri, rendendolo un obbligo contrattuale ed affidandone la gestione per lo più ai sindacati di palazzo che, grazie alle regole antidemocratiche con cui si eleggono le RSU, ne gestiscono da un ventennio gran parte delle risorse. Una parte dei 200 milioni che la L. 107 ha destinato al finanziamento del bonus meritocratico nel nuovo CCNL, dicevamo, viene destinata agli incrementi della Retribuzione Professionale Docenti: il 35% nel 2018, il 25% nel 2019 e dopo il 20%; il resto è stato prelevato dai fondi stanziati per il MOF per le scuole. Il risultato è un incremento della RPD compreso tra i 10 e i 15 euro, lordi e non computati ai fini del calcolo del TFR/TFS e della pensione. I sindacati firmatari dicono che si tratterebbe di 80 milioni sui 200 complessivi, ma all’articolo 39 bis è scritto che saranno “40 milioni a regime”. 

CONTRATTAZIONE D’ISTITUTO E “BRUNETTA”.  Viene contrattualizzata la “Brunetta” perché le grandi centrali sindacali hanno accettato di togliere dalle materie oggetto di contrattazione d’istituto le “modalità di utilizzazione del personale, i criteri riguardanti le assegnazioni del personale alle sedi, i criteri e le modalità relativi all’organizzazione del lavoro” (art. 6 del vecchio CCNL), lasciando solo la flessibilità oraria per gli Ata. Solo una parte di queste materie – fondamentali per difendere i diritti dei lavoratori rispetto allo strapotere dei DS – sono oggetto di “confronto”, un nuovo istituto che però prevede solo l’invio di informazioni e un’eventuale riunione, da cui non deve uscire un accordo, ma solo “una sintesi dei lavori e delle posizioni emerse”. In pratica, decide il DS – come voleva la Brunetta – con un po’ di fuffa di contorno! Solo chi è in malafede può far finta che “contrattazione” e “confronto” siano la stessa cosa. 

CARICHI DI LAVORO.  Resta invariato l’art. 29 del vecchio CCNL sulle attività funzionali all’insegnamento con il limite delle 40 ore + 40 per le attività collegiali, ma con la formulazione “aperta” inserita nell’art. 28 si introduce nel CCNL un altro pezzo della L. 107, poiché si prevede che tutte le attività di potenziamento dell’offerta formativa rientrino nell’orario di docenza. È prevista però un’apposita tornata contrattuale estiva per il passaggio dalle attuali 40 ore più 40 ore a 80 complessive. Inoltre, è previsto che altre attività, come le attività “obbligatorie” di formazione sulle materie e sulle metodologie privilegiate dalla “buona scuola”, possano/debbano essere svolte gratuitamente all’interno dell’orario funzionale. Tale orario non è però definito e, quindi, verrà deciso singolarmente (?!?) dalle diverse “repubbliche autonome” chiamate Istituzioni Scolastiche. Aumentano, anche i compiti del personale ATA “Il personale ATA, individuato dal dirigente scolastico […] partecipa ai lavori delle commissioni o dei comitati per le visite ed i viaggi di istruzione, per l’assistenza agli alunni con disabilità, per la sicurezza, nonché all’elaborazione del PEI ai sensi dell’articolo 7, comma 2, lett. a) del D.lgs. n. 66 del 2017”.  La mansione di tutor per le attività di Alternanza Scuola-Lavoro dovrà essere obbligatoria, “incentivata” e retribuita a parte. 

Il RESTO.  Resta per intero l’inquietante capitolo dell’incremento dei poteri dei DS nell’emanazione delle sanzioni disciplinari, temporaneamente stralciata per il solo settore Scuola dalle applicazioni della riforma della Pubblica Amministrazione Madia, ma di fatto rinviata a luglio. Per i docenti ritorna il vincolo triennale sulla mobilità, “qualora abbiano ottenuto l’istituzione scolastica richiesta volontariamente”. Il nuovo CCNL contiene anche una minacciosa dichiarazione congiunta (la n. 6) con la quale “Le parti si impegnano a prevedere una fase istruttoria che consenta di acquisire ed elaborare tutti gli elementi utili ad individuare forme e strumenti di valorizzazione nell’ottica dello sviluppo professionale dei docenti”. Ratificato, come in Francia ed in altri Paesi, “il diritto alla disconnessione, a difesa del personale dall’invasività delle comunicazioni affidate alle nuove tecnologie. È di fatto il riconoscimento dell’estensione tendenzialmente illimitata del tempo di lavoro sul tempo di vita. 

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